Massimo Pieretti - A New Beginning

Pubblicato il: 22 Maggio 2023
Nell’autunno dell’anno scorso è uscito A New Beginning, il primo album di Massimo Pieretti, musicista romano che ha intrapreso la difficile strada dell’autoproduzione. Scelta necessaria per rimanere svincolato da condizionamenti e paletti che si sarebbero inevitabilmente presentati rapportandosi con una etichetta discografica anche se indipendente.

Già attivo da tempo nel panorama capitolino, Massimo Pieretti è un pianista diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma e docente di pianoforte e musica presso il MIUR. Con un po’ di ritardo ci occupiamo del suo primo album intitolato A New Beginning, che fino ad oggi è stato in qualche modo incasellato da parte di molti colleghi nell’ambito del progressive rock. In realtà il disco non si presta esattamente a quel tipo di associazione e anche lo stesso autore ci ha confessato di non averlo concepito con quella attitudine. Rimane il fatto che per molti versi A New Beginning contiene alcuni ingredienti tipici del progressive, magari in una chiave più pop che rock, dove i ricchi arrangiamenti orchestrali fanno da contorno a delle melodie che hanno il pregio di rimanere in testa sin dal primo ascolto. Per assurdo, il valore di questo lavoro è proprio nel suo sfuggire alla catalogazione tipica del rock progressivo a cui siamo abituati che ci propone solitamente virtuosismi, tempi dispari e intrecci melodici molto complessi. Non che si possa catalogare come un disco semplice, perché gli arrangiamenti sono in effetti particolarmente articolati. La sensazione è che A New Beginning possa essere ascoltato con due differenti livelli di attenzione: il primo, più superficiale, dove ci si focalizza essenzialmente sull’aspetto melodico e il secondo, più attento, perdendosi nella complessità del contorno composto da arrangiamenti stratificati.
Il disco, disponibile anche in formato fisico sia digitale che analogico, prevede moltissime collaborazioni tra le quali spicca quella prestigiosa di Ray Weston degli americani Echolyn. I testi sono in lingua inglese e le voci sono affidate a diversi artisti sia di sesso maschile (tra cui lo stesso Weston) che femminile. Si tratta di un concept album di tipo autobiografico; una sorta di messa a nudo emozionale. Pur essendo un lavoro godibile e riuscito nel suo complesso, come altri dischi d’esordio non si tratta di un disco perfetto; qualche piccola incertezza si avverte, ma si tratta pur sempre di un’opera prima la cui forza non va cercata nella perfezione estetica ma nell’urgenza espressiva di un autore che ha fatto le sue scelte in completa autonomia.
Abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Massimo per capire meglio la genesi di questo lavoro. Di seguito il riassunto di una piacevole chiacchierata durata più di un’ora.

SUONO: spesso capita di ascoltare dischi prog in cui si dà meno spazio alla melodia per favorire invece ritmi complessi e virtuosismi in genere. Nel caso di A New Beginning si percepisce un approccio diverso.

MP: quando mi sono messo a lavorare sui brani non sono partito dall’idea di fare un disco prog. Sono stato infilato da alcuni giornalisti nel pentolone del rock progressivo ma questo disco, pur avendo delle assonanze con quel genere, non lo reputo tale. Ad esempio qui non trovi virtuosismi o lunghi assoli. Tendo a considerarlo un disco di canzoni, anche se rientra certamente nella categoria dei concept album, perché i brani sono collegati tra loro soprattutto per il significato dei testi. Inizialmente doveva essere un disco strumentale, solo successivamente ho deciso di spingermi a scrivere delle liriche. Fino ad oggi non mi ero mai messo a comporre la mia musica e tanto meno a scrivere dei testi. Sinceramente è stata un’esperienza formativa e molto positiva.

A tal proposito, come mai hai scelto la lingua inglese?

Ho cercato di pensare in grande avendo come obiettivo un pubblico internazionale, anche per gli ospiti che sono presenti su questo album. Questo è solo il primo capitolo di una trilogia che ho in preparazione. Non ti voglio anticipare molto ma si tratterà di lavori dal carattere un po’ diverso.

Per quanto riguarda le numerose collaborazioni da parte sia di cantanti che musicisti, nel disco ci sono brani interpretati da voci femminili e maschili. Ogni traccia è stata pensata fin dall’inizio per un certo tipo di vocalità o è stata una scelta successiva?

Come ti dicevo, in una prima fase il disco doveva essere addirittura strumentale, poi una volta deciso di scrivere dei testi, avevo pensato inizialmente ad un unico cantante e solo dopo ho iniziato a chiedere anche ad altri  di collaborare. In quella fase ho provato anche ad alzare il tiro ricevendo il parere favorevole di Ray Weston (il cantante degli Echolyn ndr.) e della finlandese Kate Nord attiva nel mondo del prog metal sinfonico e anche da altri bravissimi artisti che si sono impegnati per dare vita a questo lavoro. In alcuni casi chi ha cantato ha cercato di fare propria la canzone e questo l’ho considerato un upgrade a prescindere dalla tonalità. È stato un approccio che ho seguito con tutti i musicisti che hanno collaborato. Addirittura in qualche caso ho modificato l’arrangiamento del brano perché l’idea nata dalla collaborazione mi piaceva di più di quella da dove ero partito.

Come sei arrivato alla decisione di produrre interamente questo lavoro non affidandoti ad una etichetta?

Inizialmente ho provato a collaborare con una casa editrice, poi mi sono reso conto che avevo troppi paletti e quindi ho deciso di fare tutto da me per essere completamente libero nelle scelte sia artistiche che di promozione.

La copertina dell’album è molto particolare. Avevi una idea precisa quando l’hai immaginata?

No, anche per questo mi sono avvalso di diverse collaborazioni. Siamo arrivati al traguardo finale dopo vari tentativi. Probabilmente la copertina è uno degli aspetti più “progressive” perché in quel tipo di musica le immagini fanno parte del lavoro nel suo complesso e certamente anche in questo caso è così.

Ascoltando il disco mi sono reso conto che si tratta di un lavoro di cui si può fruire con due diversi approcci. Quello più “semplice” seguendo innanzitutto le melodie ma anche in modo più approfondito facendosi coinvolgere dai testi, dagli arrangiamenti e dai suoni.

Senza dubbio credo che si tratti di un disco articolato senza essere elitario o difficile. Si tratta del mio primo lavoro e come spesso capita con i primi lavori, racchiude un percorso abbastanza lungo di studi e di evoluzione musicale. Per quanto riguarda gli arrangiamenti ho cercato di avere un approccio innovativo utilizzando una sorta di orchestra 2.0. Ci sono gli archi veri che poi ho doppiato con i suoni delle tastiere e con quelli degli strumenti virtuali. Con questo approccio ho cercato di creare una sorta di “circolarità”, di surround fisico e di vortice sonoro; un aspetto di cui sono sinceramente molto fiero. È stato un mio tentativo di fare una sorta di pop con le armonie e gli arrangiamenti della musica classica. Le strutture delle canzoni sono volutamente semplici e nella mia idea doveva anche essere un lavoro radiofonico.

L’arrangiamento di un brano è certamente importantissimo perché contribuisce a creare una particolare atmosfera e se è fatto particolarmente bene non farà altro che accrescere l’emozione nell’ascoltatore. Allo stesso tempo però se un brano funziona, funziona anche in una veste “basica” con pochi strumenti. A tal riguardo ho molto apprezzato nella versione CD di A New Beginning, la presenza di due tracce aggiuntive in formato acustico per i due brani In November e Things to Live And To die For.

Pensa che in un primo momento avevo deciso di proporre l’intero lavoro in duplice versione, quella che puoi sentire su CD e LP e anche in versione “alternativa” più scarna e semplice. Poi ho abbandonato l’idea perché sarebbe stato troppo complesso gestire un lavoro così lungo. I brani sono nati quasi tutti al pianoforte tranne un paio e quindi si prestano ad essere interpretati così.

Inizialmente dicevi che non consideri questo tuo primo lavoro come un disco di progressive ma forse dovremmo metterci d’accordo sul significato di questa parola. Dal mio punto di vista è un disco di prog. Forse lo potremmo inquadrare in una specie di pop progressive ma sicuramente qualche attinenza con il genere ce l'ha.

Il disco è pieno di citazioni e alcune certamente appartengono al mondo del prog perché quel genere fa parte della mia cultura musicale, ma forse l’influenza più importante è quella jazz rock. Ci sento dentro i Weather Report, John Coltrane e altri artisti di quel mondo. Poi ci sono le influenze della musica orchestrale, primo tra tutti Morricone ma anche le sonorizzazioni alla Brian Eno.

Prima mi parlavi del fatto che questo disco è il primo di una trilogia. Stai già lavorando agli altri capitoli?

Attualmente sto lavorando per mettere in piedi uno spettacolo live dove riproporrò innanzitutto questo disco ma necessariamente comprenderà anche qualche nuovo brano. Ancora non abbiamo una data precisa ma vorrei si facesse il prima possibile. In una seconda fase mi occuperò della produzione degli altri due capitoli!

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